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Morpurgo Parente
Il recinto Morpurgo Parente raccoglie al suo interno le sepolture o le lapidi commemorative di venti individui appartenenti a quattro generazioni di una delle più importanti famiglie dell’Ottocento triestino.
Una famiglia complessa, ramificata, legata alle attività commerciali e bancarie degli eredi di Elia Morpurgo, ebreo goriziano di antiche ascendenze stiriane trasferitosi a Trieste a cavallo del XIX secolo. Suo figlio Isacco avrebbe fondato assieme al socio Marco Parente l’omonima Morpurgo & Parente, contemporaneamente banca e ditta di esportazioni, diventata in seguito uno dei punti di riferimento della città emporiale. Capace di allargare la sua influenza e le sue relazioni ben oltre i confini della città e dell’Impero asburgico, l’azienda entrò in stretti rapporti con i più importanti banchieri delle piazze viennese e parigina, compresa la famiglia Rothschild.
I legami tra i Morpurgo e i Parente, però, non si limitavano alla sola sfera professionale. Com’era tradizione sia per le comunità ebraiche che, più in generale, per la borghesia imprenditoriale dell’epoca, ditta e famiglia rappresentavano spesso un tutt’uno indivisibile, e i contatti familiari erano di sovente l’unica rete di supporto su cui si potesse davvero fare affidamento. E così, se un socio non era già parte della famiglia, poteva sempre diventarlo venendo anche, se necessario, sepolto nella tomba familiare: si spiega così la presenza qui di esponenti delle famiglie Landauer, Hierschel de’ Minerbi e, soprattutto, Parente.
Frontespizio dello spartito dell’opera “Stiffelio” di Giuseppe Verdi, con dedica a Clementina Hierschel de Minerbi, Museo Teatrale Carlo Schmidl, Trieste
Non solo Isacco Morpurgo sposò Regina Parente, sorella dello storico partner di affari, ma anche i suoi figli e nipoti avrebbero fatto lo stesso. Tra questi Giuseppe, che nel 1836 avrebbe preso in moglie la cugina Elisa. Istruito, cosmopolita, ben integrato nel tessuto della società maggioritaria, allo stesso tempo di cultura italiana e fedele suddito asburgico, il «baron Pepi» fu uno dei migliori rappresentanti dell’alta borghesia ebraica formatasi nella prima metà dell’Ottocento.
Le sue iniziative imprenditoriali e le posizioni di prestigio ricoperte sono troppo numerose per essere qui citate tutte. Basterà ricordare il ruolo chiave di direttore delle Assicurazioni Generali, ricoperto dal 1850 alla sua morte nel 1898, durante i quali sovrintese ad una fase di crescita e consolidamento del gigante del settore assicurativo; o quello di vicepresidente della Camera di commercio triestina, che nel 1869 gli valse l’invito alla cerimonia di inaugurazione del Canale di Suez, alla presenza di re ed imperatori.
Per quanto perfettamente integrato ai più alti livelli del potere economico e politico della sua città e dell’Impero asburgico e caratterizzato da una religiosità priva di segni esteriori, a differenza di molti suoi discendenti Giuseppe rimase sempre legato alla Comunità israelitica di Trieste, che supportò sia con finanze personali che attraverso la banca Morpurgo & Parente. Particolarmente attivo nella beneficenza, non solo quella in favore dei correligionari, contribuì anche come tanti altoborghesi di ogni religione a enti ed iniziative patrocinate da istituzioni cittadine ed imperiali. Nel 1869, i meriti professionali, filantropici e patriottici acquisiti agli occhi del potere austriaco, gli valsero infine il titolo di Barone (Freiherr), poi trasmesso agli eredi.
Il recinto, progettato dall’architetto lombardo Carlo Maciachini (autore del cimitero monumentale di Milano e, a Trieste, della chiesa serbo-ortodossa di S. Spiridione) e da Enrico de Morpurgo (figlio di Elio, uno dei fratelli di Giuseppe), venne costruito a pochi mesi di distanza dalla nobilitazione di Giuseppe, ed è ulteriore testimonianza dell’influenza e della ricchezza raggiunte dalla famiglia. È caratterizzato da un’imponenza e da una sontuosità che, se si scostano dalla modestia nelle sepolture a cui invita l’halakhah (legge religiosa), avvicinano questo monumento a quelli di esponenti della stessa classe sociale sepolti nel cimitero cattolico di Sant’Anna.
E a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, col progredire del processo di emancipazione degli ebrei dell’Impero, anche la famiglia Morpurgo Parente fu caratterizzata da una sempre maggiore assimilazione. Uno alla volta, infatti, i membri delle generazioni più giovani passarono al cattolicesimo oppure allo status di konfessionslos (privo di appartenenza religiosa).
L’ultimo Morpurgo a venire sepolto nel recinto fu allora Pietro Luigi, il «bel marinaio», nipote prediletto e vero erede di Giuseppe, capace di risollevare almeno in parte le sorti della famiglia dopo una serie di rovesci finanziari che la colpirono nell’ultimo decennio del XIX secolo.