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Rav Marco Tedeschi

Goldman, Raffigurazione allegorica dedicata al Rabbino maggiore di Trieste Marco Tedeschi (1860) – Civici Musei di storia ed arte.

Marco Tedeschi nacque nel 1817 a Piovà Massaia, piccolo centro dell’astigiano. Il padre Felice, morto prematuramente nel 1836, era rabbino, talmudista, filologo ed educatore; Marco ne avrebbe seguito le orme reggendo prima la Comunità di Nizza Monferrato, poi quelle di Saluzzo ed Asti. Qui avrebbe messo in luce le sue qualità di oratore ed educatore, nonché una grande cultura estesa ai classici della letteratura latina ed italiana.

Proprio grazie a questa cultura nel 1849, in seguito ai primi provvedimenti emancipatori negli stati sabaudi, Marco Tedeschi avrebbe conseguito la laurea in Lettere, primo ebreo del Regno di Sardegna a potersi fregiare di tale titolo.

Copertina del libro Preghiere d’un cuore israelita, tradotto dal francese all’italiano da Marco Tedeschi (prima edizione nel 1852).

Nel 1858, ormai conosciuto e stimato, si vide offrire sia la cattedra di Rabbino maggiore di Torino che quella di Trieste. La scelta non fu facile. Da un lato il porto adriatico, culla di una Comunità ebraica storicamente numerosa, ben integrata ed influente. Dall’altro, la città dei Savoia, dopo il 1848 nuova avanguardia dell’emancipazione, capitale della sua terra natia e centro propulsore del processo unitario italiano, di cui Tedeschi era un fervente sostenitore.

Alla fine la spuntò Trieste, anche grazie all’interessamento in prima persona di Cavour che, potenzialmente interessato ad avere un osservatore fidato all’interno dell’Impero asburgico, si adoperò per appianare le principali obiezioni sollevate da Tedeschi.

Il mandato di quest’ultimo a Trieste coincise con un periodo di grandi trasformazioni e contraddizioni all’interno dell’ebraismo europeo, italiano e triestino, seguito alla diffusione della Wissenschaft des Judenthums (la scienza del giudaismo) nata dall’Haskalah (l’illuminismo ebraico). Cambiava la società maggioritaria, impregnata di positivismo, lanciata verso un progresso che si riteneva potenzialmente infinito; cambiavano la società ebraica ed i suoi membri, sempre più emancipati ed assimilati, desiderosi di “svecchiare” la propria religione e sempre meno legati alle tradizioni culturali e religiose dei loro antenati.

In questo contesto, foriero di potenziali crisi e fratture, Tedeschi mirò a trovare una soluzione di compromesso che corrispondeva alle sue convinzioni: aggiornare il modo di vivere l’ebraismo, senza paura di mettere in discussione alcuni suoi aspetti proprio perché sicuri del valore eterno della rivelazione divina. Aggiornare, sì, ma senza snaturare, ossia senza abbandonare tutte le tradizioni in ossequio ad un malinteso senso del progresso, o travolti dalla smania di assomigliare alla fede maggioritaria e ai suoi rituali.

Un’opera di mediazione complessa, che avrebbe però portato ad alcune innovazioni che buona parte dell’ebraismo triestino chiedeva già da tempo come, ad esempio, alcune modifiche alle cerimonie funebri e matrimoniali con l’inserimento di alcuni elementi “scenografici” affini alle analoghe cerimonie cattoliche. Come si può forse immaginare, ciò gli attirò critiche sia dagli iper-conservatori che dagli iper-innovatori, ciascuno a suo modo insoddisfatto della politica del Rabbino maggiore.

Tali critiche dovettero causargli numerosi dispiaceri e, almeno leggendo tra le righe delle fonti a nostra disposizione, le complicate relazioni con la Comunità contribuirono in qualche modo alla malattia che lo avrebbe condotto alla morte nel pieno della sua maturità, a soli 52 anni.

Oggi la sua figura è ricordata a Trieste non solo come il «rabbino di Cavour», ma anche come l’educatore attento in particolare alle necessità dell’infanzia. Dal dicembre 1869 e fino ad oggi, infatti, l’Asilo infantile della Comunità porta il nome del suo fondatore e primo presidente, rav Marco Tedeschi da Piovà Massaia.

 Copertina dell’opera di Marco Tedeschi Due discorsi in morte del professore Samuel David Luzzatto (1866).
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