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La lapide a sarcofago di rav Abramo Vita Cologna

Abramo Vita Cologna nacque a Mantova nell’ottobre del 1754. Fino all’arrivo delle armate napoleoniche in Italia il suo principale impiego fu quello di commerciante, ma questa professione gli lasciò abbastanza tempo per coltivare anche la sua passione per la letteratura e la filosofia. Cologna studiò i testi della tradizione ebraica, prese contatti con altri intellettuali ebrei, si interessò al pensiero di Moses Mendelssohn, tra i principali esponenti della Haskalah, il cosiddetto Illuminismo ebraico. Questa corrente di pensiero aveva l’obiettivo di rinnovare l’ebraismo, aprendolo al mondo circostante e più in generale alla modernità, pur senza intaccare le colonne portanti di una identità ebraica distinta da quella maggioritaria.

Nel 1796-1797 l’arrivo dei francesi e delle idee rivoluzionarie – compresa l’emancipazione degli ebrei – aprirono nuove strade a Cologna. Da commerciante divenne politico ed amministratore, facendo parte della “camera alta” della Repubblica Cisalpina, il Corpo dei Seniori, quindi entrando nel Consiglio dei dotti della Repubblica italiana. Fu filo-francese e fedelissimo di Napoleone, e questa lealtà gli consentì di proiettarsi oltre il palcoscenico italiano.

Nel 1806, due anni dopo essersi incoronato “Imperatore dei francesi”, Napoleone convocò a Parigi l’Assemblea Israelitica, con l’obiettivo di sciogliere alcune potenziali contraddizioni tra le leggi religiose ebraiche e quelle della Francia imperiale. Dal momento che una consistente parte dell’Italia centro-settentrionale era stata di fatto annessa all’Impero, alcuni rappresentanti partirono anche dalla Penisola. Tra loro, Abramo Cologna.

Documento di nomina di Abraham Cologna a rabbino maggiore del Concistoro centrale di Francia (1808) – Archivio della Comunità Ebraica di Trieste.

La sua attività all’Assemblea e nell’organismo che l’avrebbe poi sostituita – il Gran Sinedrio – non fu particolarmente intensa, ma alcuni suoi interventi ottennero visibilità sulla stampa, in particolare un suo discorso che ebbe i caratteri di un panegirico in onore di Napoleone, dipinto come uomo della Provvidenza e «genio creatore» capace di far risorgere Israele dalle proprie ceneri.

Da quel momento in poi Cologna fece base per anni a Parigi. Scrisse – in italiano e in francese – poesie e discorsi, entrò nel Concistoro centrale (assemblea creata da Napoleone come struttura di coordinamento dell’ebraismo nei territori francesi), diventandone presidente dal 1812 al 1826.

In quell’anno, però, maturò la decisione di abbandonare la capitale transalpina. Cologna accettò l’offerta della Comunità triestina, che aveva pensato a lui come Rabbino maggiore per sostituire Abramo Eliezer Levi, da poco deceduto. La scelta non sembra essere stata casuale. Levi era stato un rabbino molto tradizionalista, apertamente schierato contro la riforma ebraica che stava allora muovendo i primi passi in Europa. Per sostituirlo, i capi della comunità triestina si rivolsero invece ad un intellettuale estimatore dell’Haskalah, un filo-napoleonico fautore dell’emancipazione.

Il mandato di Cologna, però, era destinato ad essere piuttosto breve. Già anziano, morì nel 1832 venendo seppellito nel cimitero di via del Monte. A ricordarlo questa lapide a sarcofago, tipica delle sepolture rabbiniche.

Assieme all’ebraismo, cambiava anche la città. Nel 1843 aprì il nuovo cimitero, in parte sull’esempio delle riforme sanitarie ed urbanistiche napoleoniche, e l’antico Beth haOlam si avviò verso l’abbandono. Nel 1909 il Comune di Trieste smantellò questo luogo di sepoltura, traslando nell’ossario i resti riesumati e rimuovendo – e spesso distruggendo – quasi tutte le lapidi. Tra le poche sopravvissute, però, quelle dei rabbini, compreso rav Abramo Cologna: tra i primi ad uscire dal ghetto, e l’ultimo ad essere seppellito nell’antico cimitero.

Ritratto di Abraham Vita de Cologna, incisione, XIX secolo.
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