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Il monumento ai deportati
Alla stazione. Presso i silos i carrozzoni bestiame che devono trasportarci, non sappiamo dove. La meta del viaggio è un segreto custodito gelosamente.
Giungono altri autocarri pieni di detenuti: sono quelli rimasti fino allora alla risiera di San Sabba, e arrestati solo perché appartengono alla razza ebraica.
Coi miei cinque compagni di cella mi fanno salire in un carrozzone, dove hanno trovato posto delle donne che vengono deportate sotto l’accusa di aver aiutato i partigiani. Quelli della risiera, un’ottantina di persone fra uomini, donne e bambini, vengono chiusi in due carrozzoni dietro il nostro. […]
È ancora buio. La motrice non è stata ancora attaccata al treno. Mi chiedo se qualcuno della mia famiglia verrà a salutarmi, prima della partenza, forse per l’ultima volta. Vedo Leone sospinto in un’altra vettura. Le SS girano col mitra in pugno. Su di una vettura di terza classe stanno caricando dei pacchi: i pacchi viaggiano in terza classe, noi stipati nel carro bestiame.
[Bruno Piazza, Perché gli altri dimenticano. Un italiano ad Auschwitz, Feltrinelli, Milano 1995 (ed. or. 1956), pp. 21-22]
Già a poca distanza dalla fine della Seconda guerra mondiale, la Comunità israelitica di Trieste si organizzò per costruire un monumento che commemorasse i suoi membri assassinati durante la Shoah. Collocato all’interno del Cimitero ebraico, venne inaugurato nel settembre 1950, alla vigilia di Yom Kippur, il giorno dell’espiazione, il più solenne del calendario religioso.
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