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Giorgio Voghera 

Giorgio Voghera nacque a Trieste nel 1908, unico figlio di Guido e di Paola Fano, entrambi provenienti dalla piccola e media borghesia ebraica. Atei e socialisti, i genitori avevano rifiutato le convenzioni borghesi dell’epoca, scegliendo di convivere e mettere al mondo un figlio in regime di “libero amore”, tra le reazioni scandalizzate dei benpensanti religiosi e laici.

Giorgio Voghera bambino, ritratto insieme alla madre Paola Fano.

Giorgio crebbe in un ambiente peculiare. Il padre, matematico con una grande e poliedrica cultura, conobbe di persona i principali nomi della cultura triestina di inizio ‘900. In particolare, fu amico di Umberto Saba, del letterato eterodosso Bobi Bazlen e del medico Edoardo Weiss. Quest’ultimo, allievo di Freud, attraverso Trieste introdusse in Italia la psicoanalisi, poi abbattutasi come «un ciclone*» sulla città e sulla sua nevrotica borghesia.

*Giorgio Voghera, Gli anni della psicanalisi, Edizioni Studio Tesi, Roma 2020 (ed. or. Pordenone 1980), p. 3.

Ancora bambino Giorgio ebbe la possibilità di ascoltare le loro discussioni, formando un fortissimo legame ed una grande ammirazione per il padre. Studente brillante, nel 1925 concluse il liceo con un anno di anticipo, ma non continuò gli studi. Non volendo frequentare le facoltà umanistiche, già inquinate dalla propaganda fascista, preferì entrare nel mondo del lavoro. E così, a soli 18 anni, iniziò la sua peculiare carriera alla Riunione Adriatica di Sicurtà, in cui per oltre trent’anni avrebbe prestato il suo servizio scrupoloso, efficiente e lontano da ambizioni personali.

Nel 1938 le leggi razziali lo obbligarono ad abbandonare questo impiego. Il pessimista – o l’acuto osservatore? – Voghera presagì ulteriori future sciagure e, aiutato dallo zio Giuseppe Fano, presidente del Comitato Italiano di Assistenza agli Emigranti Ebrei, riuscì ad ottenere per sé e i genitori l’espatrio nella Palestina mandataria. Fu proprio qui che Voghera, mentre lavorava in vari kibbutzim, assistette allo scoppio e allo svolgersi del Secondo conflitto mondiale e delle sue catastrofi. Come il padre Guido, all’inizio della guerra, venne internato in un carcere a Jaffa come “suddito nemico”, fino a quando fu chiarita la loro posizione di profughi. Nel 1948, a pochi mesi dalla nascita dello Stato d’Israele, Voghera compì però «una delle molte fughe della [sua] vita*», rientrando a Trieste e riprendendo servizio alla RAS. Poco dopo venne raggiunto dagli ormai anziani genitori, da lui poi assistiti fino al termine della loro vita.

 *Giorgio Voghera, Quaderno d’Israele, Edizioni Studio Tesi, Pordenone 1986, p. 227.

Dopo la loro morte, nel 1962 Voghera optò per un pensionamento anticipato, iniziando la sua carriera letteraria. Alcuni suoi lavori erano già stati pubblicati sotto pseudonimo – in particolare il discusso Il segreto, che fino alla morte Giorgio sostenne essere invece opera di suo padre – ma ora poté fare emergere senza maschere il suo grande talento di osservatore del mondo, della società e della condizione umana, raccontando la Trieste di inizio secolo, le colonie sioniste nella Palestina mandataria, il Friuli Venezia Giulia postbellico.

Dai suoi saggi e dai suoi racconti emerge la visione del mondo di un inguaribile pessimista, leopardianamente privo di illusioni sull’uomo e sulle società che l’uomo costruisce, eppure ironico e alieno da ogni forma di disperazione, cinismo o nichilismo. Ateo, non rigettò la spiritualità e, soprattutto, il suo retaggio ebraico. La sua profonda empatia lo rese capace di comprendere il dolore e le debolezze altrui, di astenersi da facili giudizi morali pur attenendosi egli stesso a un codice etico alle volte fin troppo inflessibile. La sua precoce sensibilità gli consentì non solo di essere l’ultimo testimone di una grande stagione di Trieste, ma anche di comprenderla, elaborarla, e trasmetterla alle generazioni successive.

Riconosciuto ancora in vita come tale, ricevette numerosi premi e riconoscimenti spegnendosi infine, a 91 anni, nell’ospizio per anziani della Comunità ebraica triestina, la Pia Casa Gentilomo.

Giorgio Voghera riceve il San Giusto d’Oro nel 1992.
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