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Fortunato Vivante

Fortunato Vivante e sua moglie Emma Bessone – Archivio Fam. Iachia.

Il cognome Vivante, di lontana origine francese, è fra quelli che hanno fatto la storia della città. Tra le persone che riposano qui, la più nota è senza dubbio Fortunato Vivante, barone di Villabella, figlio di Angelo Vivante e Isabella Luzzatto. Nato a Treviso nel 1846, parente degli altrettanto noti Vivante mantovani, stanziatisi a Trieste a fine Settecento, si trasferì col fratello sulle rive dell’Adriatico intorno al 1860, vivendo da protagonista la rapida crescita demografica ed economica della città.

Le fonti a nostra disposizione dipingono il ritratto di un uomo molto intelligente, determinato, ambizioso. A soli diciassette anni era impiegato presso gli uffici triestini del Creditanstalt. Appena sette anni dopo era già direttore della filiale locale della viennese Banca Union, realtà di secondo piano nella capitale asburgica che però, anche grazie all’abilità e al quasi leggendario fiuto per gli affari di Fortunato, sarebbe divenuta assai influente nel contesto triestino.

Uomo “fattosi da solo”, sancì la propria ascesa seguendo il tipico copione della classe sociale a cui ora apparteneva. Si integrò ai più alti livelli della socialità borghese triestina, divenendo membro dei circoli più esclusivi. Cercò e ricevette decorazioni e titoli nobiliari in Italia e nell’Impero austro-ungarico. Acquistò e ristrutturò nell’attuale Largo Papa Giovanni XXIII il prestigioso edificio che ancora oggi porta il nome di Palazzo Vivante. Fu attivissimo nella beneficenza e nella filantropia a Trieste, nell’Impero, in Italia. Come la maggior parte dell’élite economica cittadina, fu in ottimi rapporti con il potere politico austriaco che infatti, anche durante la Prima guerra mondiale, si sentì sempre sicuro del suo lealismo.

Congratulazioni del «Corriere Israelitico» per l’onorificenza di Cavaliere della corona d’Italia ottenuta da Fortunato Vivante – Corriere Israelitico, 1880-1881, p. 99.

In qualche caso, però, Fortunato si dimostrò capace di staccarsi dalle convenzioni sociali della sua classe e del suo tempo. Caso eclatante fu la sua lunga relazione con la prima ballerina della Scala, la cattolica Emma Bessone. Dopo dodici anni di vita – per usare il linguaggio dell’epoca – da «amanti», i due convolarono a nozze nell’estate del 1899. La coppia non ebbe figli, e alla morte del barone Fortunato, nel 1926, gran parte dei suoi averi sarebbe passata al fratello Giuseppe ed ai nipoti.

Per quanto senza raggiungere le vette toccate da Fortunato, anche Giuseppe ebbe una carriera di tutto rispetto. Sposatosi nel 1881 con Natalia Schmitz, sorella di Italo Svevo, si impegnò con discreto successo in vari settori: dall’import-export, al commercio di juta ed agrumi, alla ristorazione, all’industria, venendo infine nominato Commendatore del Regno d’Italia nel 1924.

Giuseppe e Natalia ebbero quattro figli. Questo monumento ne ricorda due, tragicamente spenti dalla crudeltà umana. Nel 1944 Angelo Fortunato e Carmen Allegra, entrambi a ridosso dei sessant’anni, si trovavano ricoverati presso l’Ospedale Psichiatrico di Trieste. Il 28 marzo scattò una delle più tragiche e famigerate retate delle SS. Entrambi caddero nella rete: deportati già il giorno successivo, furono con ogni probabilità assassinati al momento stesso del loro arrivo ad Auschwitz.

Pianta del vecchio cimitero ebraico (1907). Civici Musei di Storia ed Arte - Trieste
Banchetto in occasione del 25° anno di fondazione del Circolo dell’Unione, tra i più esclusivi della città. Fortunato Vivante è il quarto seduto da destra – Civici Musei di storia ed arte, Trieste.
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