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Lapide antico cimitero
L’antico cimitero ebraico di via del Monte
Il Cimitero ebraico di via della Pace venne inaugurato nell’ambito di una più generale razionalizzazione dei luoghi di sepoltura cittadini e di un loro allontanamento dalle zone più densamente abitate di Trieste.
Fino all’inizio dell’Ottocento le comunità nazionali e religiose della città avevano infatti seppellito i propri morti in varie aree situate a ridosso di un centro urbano che, però, era in rapida espansione.
Nel caso della comunità ebraica, la tradizionale area di sepoltura si trovava nei pressi del Castello di S. Giusto, su un colle chiamato Montuzza, lungo l’attuale via del Monte. Le prime testimonianze di un suo utilizzo risalgono al 1420 – a dimostrare il lungo radicamento della presenza ebraica in città – ma è probabile che esso fosse stato attivo già nei decenni precedenti.
Era lì che generazioni di ebrei triestini avevano trovato riposo, fino quando una nuova sensibilità figlia dell’Illuminismo e le necessità pratiche di una città in crescita avevano spinto all’apertura di una nuova area cimiteriale su terreni acquistati ad hoc dal Comune sul colle di S. Anna. Accanto al cimitero cattolico, a quelli ortodossi “orientale” e “illirico”, a quello protestante, e a quello “ottomano”, per gli appartenenti alla comunità israelitica sorse così una nuova Beth haOlam – “casa dell’eternità” – che accolse la sua prima sepoltura nel giugno del 1843.
L’antica necropoli ai piedi di S. Giusto divenne così quel «camposanto / abbandonato, ove nessun mortorio / entra, non si sotterra più» cantato nei primi anni del ‘900 dal poeta Umberto Saba. Un luogo certo suggestivo, ma abbandonato all’incuria e al degrado.
Un vasto spazio (oltre 20.000 m²), che le autorità civili triestine intendevano sfruttare per costruire abitazioni popolari. A tal fine, quindi, l’amministrazione comunale provvide all’elaborazione di progetti, all’acquisto dell’area non inumata (circa metà della superficie totale) e, vista la proibizione religiosa ebraica di vendere cimiteri, all’esproprio di quella rimanente.
I lavori, poi interrotti dalla guerra mondiale, presero il via tra 1908 e 1909 quando il Comune si incaricò della traslazione di alcune centinaia di lapidi e, sotto la sorveglianza della Fraternita di Misericordia (confraternita che in quasi tutte le comunità ebraiche d’Europa si occupa di malati, morenti e sepolture), della riesumazione e del trasferimento delle salme all’ossario in via della Pace.
Questo atto però, andò incontro a vivaci resistenze da parte della Comunità ebraica per ragioni sia storico-affettive che, soprattutto, di halakhah (legge religiosa). Salvo poche e limitate eccezioni, infatti, i precetti ebraici impongono di non disturbare i morti né con usi impropri del terreno né, tantomeno, con riesumazioni o trasferimenti. Il Comune, comunque proseguì, sulla sua strada.
Vennero quindi traslate 2.400 salme e le tombe a sarcofago dei rabbini.
Giacomo Misan, Salvatore Sabbadini, membri della Comunità, e Piero Sticotti, l’allora direttore dei Civici Musei di Storia ed Arte, salvarono almeno in parte le tracce del vecchio cimitero schedando e trascrivendo gli epitaffi delle lapidi in via di rimozione. Alcune antiche lapidi, come quella di Rachel Segal, morta nel 1448, sono oggi esposte nel Lapidario Tergestino presso il Museo d’Antichità “J.J. Winckelmann”di San Giusto, altre al Museo della Comunità ebraica di Trieste “Carlo e Vera Wagner”.
A memoria dell’evento la lapide posta all’ingresso del nuovo cimitero invoca pace per le ossa che, «disturbate nel loro sonno», dovettero abbandonare la loro casa cercando qui il loro riposo.